Da ascoltare: Will Young “Losign myself”
Quando vogliamo rappresentare noi stessi o una persona amata attraverso delle immagini, mettiamo sul foglio le attività preferite, le cose che piacciono.
Facciamo una prova. Pensa ad un amico e immagina di descriverlo con immagini. Fatto? Io metterei un piattone di tortellini al tartufo, una stanza barocca, barzellette sboccate e un quadro di David. Cosa ho fatto? Ho messo in immagini alcuni valori: la buona cucina, lo stile massimalista in decorazione, l’amore per la storia e la giustizia.
I valori sono i driver, guide che orientano i nostri comportamenti. In questa prospettiva diventano riconoscibili anche alle altre persone. Secondo Robert Dilts rappresentano uno dei livelli attraverso i quali si muove l’azione dell’individuo, dal più esterno al più profondo:
- Ambiente – dove/quando?
- Comportamenti – cosa?
- Capacità – come?
- Valori e convinzioni – perché?
- Identità – chi?
- Spiritualità (al di là dell’individualità) – cosa lascio nel mondo?
Simon Dolan definisce i valori come sistemi di convinzioni.
In qualche maniera rivede questa gerarchia dato che, proprio per un criterio logico, li sovraordina al livello 4. Riprendendo questo punto di vista, mi domando se più che un livello logico, non rappresentino piuttosto i driver del gradino che si riferisce all’identità. Come altrimenti pensa di Dilts di rispondere alla domanda “chi = con chi mi identifico quando decido di fare qualcosa”? Un individuo precisamente si definisce identificandosi in una determinata personalità e lo fa, in questa prospettiva comportamentale, attraverso i valori.
Tu puoi affermare di essere tu in quanto ti riconosci in determinati valori.
Fin quando mi comporto coerentemente mi sento bene. Si rompe il flusso della serenità quotidiana, ovvero sorge un conflitto quando mi trovo di fronte a un comportamento contrario, che sia mio o di altri. Voglio sottolineare che, anche se fosse entrando in contatto con persone apparentemente opposte, la resistenza esiste per una ragione interna, a causa di un parte della mia propria personalità – per quanto a me al momento sconosciuta – portatrice di un valore in contrasto, ma che “da qualche parte, per quanto piccola, dentro di me” condivido.
Il malessere che si genera quando non rispettiamo o facciamo rispettare un valore è il senso di colpa.
A livello di coaching sistemico, il senso di colpa lancia un messaggio di grande valore. Siamo in presenza della paura dell’esclusione da un determinato gruppo. L’assenza di conflitto interno rispetto a un valore ci dimostra la coerenza con un certo sistema di appartenenza, o meglio con il suo sistema di valori.
In positivo parliamo di un sentimento di innocenza.
Alla mia parte “il counsellor gestalt” sorge immediatamente una domande da verificare.
É questo sistema di valori coerente anche con la nostra peculiare personalità o si tratta di quelli di un altro contesto e successivamente fatti propri senza critica (introiettati)?
E “il coach sistemico” incalza: «ma non apparteniamo a un solo sistema!».
I valori che funzionano in un sistema, sono ugualmente efficaci in altri sistemi di cui formiamo o decidiamo formare parte?
Quando emerge una parte in conflitto, essa ci mostra un sistema negato, appartenere al quale minaccia la nostra sopravvivenza, nella convinzione che il sistema in cui “sì, vige lo stato di innocenza” invece ce la garantisca.
Come gestire il senso di colpa? Il senso di colpa di fatto anche un sintomo di benefica innovazione: l’umanità evolve grazie ad alcuni individui che vivono in una maniera opposta e, con un salto di coscienza rispetto ai loro progenitori, aderiscono (si identificano) ai valori più innovativi della propria generazione. La coscienza di essere personalità innovative, rende esenti dal conflitto? Meno che meno! Viene semmai spontaneo ipotizzare che persone di questo tipo abbiano un grado di coscienza più alto e pertanto maggiori strumenti per gestirlo. Questo possiamo pensarlo perché hanno scelto di perseguire un bisogno più alto, ovvero autoconsistenza/integrità (sfera dell’identità) o missione (sfera della trans-personalità/spiritualità), a svantaggio del sostegno che viene dall’essere parte integrante della propria famiglia (sfera dell’ambiente).
Facciamo due esempi opposti. Che succede a una suora figlia di religiosi in un gruppo di lavoro formato da atei? E a una ragazza omosessuale in una famiglia di robuste tradizioni religiose? Ma può una persona non far parte della sua famiglia o rinunciare ai propri valori? In realtà no, ma in cuor suo può forzare e prendere l’una o l’altra scelta. Il conflitto è un processo in cui inevitabilmente dovrà passare.
Interessante il caso di personalità innovative, che portano avanti valori tradizionalisti di sistemi ampi.
Un esempio. Il caso di Alice Weidel. Si tratta della omosessuale sposata che allo stesso tempo è leader del partito di destra tedesco AfD: letteralmente grida (solo a me?) quanto ama la sua famiglia di origine e la sua patria al di là di se stessa.
Frequentemente, i valori tradizionalisti sono segno dell’adesione al sistema dei propri predecessori. In presenza di due parti in contrasto, sentire di far parte dei “giusti”, dei “buoni”, dei “legali”, dei “sinceri” fa pensare immediatamente a desiderio di appartenere al proprio sistema di origine …nonostante tutto.
Continuando con l’esempio di Alice, che succede se si appartiene per nascita a un gruppo escluso – per differenze incolmabili nel sistema di valori – dalla famiglia di origine? Quali lotte interiori vive o nega una signora omosessuale legalmente sposata, dunque volente o nolente appartenente a un gruppo che ha bisogni opposti, conducendo un partito che porta avanti una lotta “reazionaria”? E se in più nella sua nazione di origine tale matrimonio non fosse riconosciuto dalla legge? Il conflitto sarebbe stato insanabile? Probabilmente avrebbe dovuto negare o l’uno o l’altro sistema o integrare il più piccolo, la famiglia nel più grande.
Altro caso interessante: senza prendere le parti di nessuno, non credi sia plausibile un conflitto a multipli livelli in un orfano inglesissimo adottato (salvato), in Inghilterra, da dei bravi musulmani (3)?
Come coach, ci interessa questo aspetto del conflitto. Qualunque tema porti una persona all’attenzione di un coach o un terapeuta, questo in qualche modo è sempre interpretabile come tale: conflitto tra parti di me, tra me e l’altro, tra me e qualcosa di più grande (il Mondo, il Senso, la Vita, Dio, …) (4).
Secondo il livello di coscienza in cui si situa la persona:
- il vantaggio per il sistema più ampio (famiglia vs. nazione) corrisponde a un maggiore livello di coscienza: nella pratica, sentire amore verso l’uno e verso l’altro, ma scegliere di andare verso il più ampio.
- Ha chiaro i propri valori? Ha integrato (com-preso con gratitudine) quelli del sistema di origine? Ha fatto propri (generano entusiasmo ed energia) quelli del nuovo sistema? o – con una domanda sfidante che ho appreso in Sensum (4) – “questi nuovi valori, autorizzano a NON fare qualcosa? “
- Esiste la possibilità di accompagnare la persona attraverso la diversità innovativa e il senso di colpa in vista di un bene più grande? È disposta la persona a mettersi in gioco per qualcosa che va al di lá dell’individuo stesso? Potremmo dire che a questo livello stiamo già in un contesto spirituale, in cui la persona inizia ed è accompagnata in un processo di superamento (5).
(1) Mi esprimo così per intenderci, ma vorrei trovare un termine più neutro: tutti i valori sono morali per definizione e accettabili da una prospettiva di coaching al di là delle etichette.
(2) Vedi articolo di commento del Guardian: https://www.theguardian.com/commentisfree/2017/aug/29/fostering-muslims-foster-carers-shortage-times
(3) La scuola di Palo Alto ha peraltro segnalato che con molta probabilità la schizofrenia è il risultato della impossibilità a risolvere il messaggio conflittuale lanciato dalla famiglia (per lo più, la comunicazione di uno dei genitori si sovrappone a quella di segno opposto dell’altro genitore). https://it.wikipedia.org/wiki/Doppio_legame_(psicologia)
(4) https://sensumsystemic.wordpress.com/
(5) In ogni caso, condivido con molti colleghi la necessità di lavorare la “presenza” come meta-competenza tanto del coach come del cliente. Si veda il video (in Spagnolo) di Sanchez Sanz “La presencia como una competencia para la vida”
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