Con questo articolo, vorrei condividere una idea di talento non nuova, ma certo poco diffusa, che ho appreso dai miei maestri di coaching sistemico. Il talento non è innato, eppure ha un un legame con il proprio destino.
E’ noto che la maestria in una determinata disciplina si raggiunge con qualche migliaio di ore di pratica. Ci vogliono, per esempio, 1.500 ore di volo per diventare comandante transoceanico e 2.500 ore di sessione per essere certificato master coach dalla federazione internazionale.
Per molti il talento non si sviluppa, ma ci viene assegnato insieme al resto del corredo genetico. Già la etimologia, che ha a che fare con le omonime monete della parabola di Gesù, rimanda al concetto di dote, un dono dalla nascita. Quello che molti pensano, in breve, è che si tratti di una “grazia” innata che si esprime pertanto sin da giovani. Anzi, o la si ha da giovani o non è talento. Un violinista che dà concerti a 15 anni o un compositore come Mozart, sono esempi, per i più – di evidente talento. Un’affermata collega, a cui chiedevo di pensare a quale fosse il proprio talento, mi ha risposto “ma alla mia età mi chiedi di tirare fuori un talento”?
Ma è proprio dopo una certa età che il talento appare chiaro!
In coaching sistemico, il talento non è esattamente innato, anche se ha a che fare con ciò per cui siamo nati. Chi si trova nell’età in cui può iniziare a fare un “bilancio delle competenze”, può finalmente identificare il “senso” delle proprie capacità a servizio del proprio sistema di appartenenza.
Talento, in una prospettiva sistemica, è la competenza che abbiamo integrato eccezionalmente bene, perché l’abbiamo praticata sin da bambini dentro e per la nostra famiglia.
È dunque qualcosa di più vicino alla maestria che alla genetica. Sin da piccolissimi, infatti, percepiamo ciò che è necessario per il nostro sistema e creiamo una strategia di adattamento volta a mantenere la famiglia unita e noi stessi ben accetti al suo interno, facendo ciò che crediamo ci sia richiesto per poter meritare di appartenervi E così ricevere accudimento, benessere, affetto.
Quale miglior leader di chi si è assunto dall’infanzia responsabilità che spettavano agli adulti? Quale miglior mediatore di colei/ colui che da sempre è impegnato a mantenere uniti i propri genitori? Chi attore più dotato di chi sin da bambino non si è sentito visto e si è specializzato a mettersi in scena?
Questi comportamenti, che qualche psicologo definirebbe “disfunzionali”, perché che ci allontanano dalle Sè autentico (come se ci fosse possibilità di conoscere il Sé autentico senza allontanarsene, ma è un altro tema…), permettono di adattarsi al proprio ambiente e definiscono l’attitudine, quel tipo di comportamento in cui l’adulto si esprimerà al meglio.
(Ti vengono in mente altri esempi? Per favore, lascia un commento)
C’è poi qualcosa in più di una attitudine, una capacità che il sistema chiede al nuovo arrivato di sviluppare per amore al sistema stesso.
In questo senso, si sviluppa una naturale inclinazione verso una determinata attività.
Quanti di noi, impegnati nell’aiuto, hanno genitori, nonni, fratelli o sorelle che non riescono a prendere la decisione di essere felici!? Mozart, chissà che non fosse così bravo proprio per portare alla famiglia il “necessario prestigio” che il padre non aveva raggiunto?
Ma, ben al di là di cercare il perché, guardandoti alle spalle, capirai quale abilità hai sviluppato in seno al tuo sistema.
Fai attenzione: il sabotaggio è dietro l’angolo! Intanto perché proprio il sistema di origine potrebbe essere il luogo del più palese fallimento, ma non è il successo la cartina di tornasole. In secondo luogo perché puoi sentire non tua quella missione che il tuo sistema ti ha “messo addosso”, e tuttavia…
Se hai bisogno di chiarirti le idee, vai da un coach.
Nell’attesa che ti dia un appuntamento, domandati cosa puoi dare Mondo grazie a quello che hai imparato a fare.
Il Mondo ha bisogno di te e del tuo talento. Inizia a capire qual è il tuo!
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